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Merzak Allouache

(Algeri, 1944) ha iniziato a studiare presso l’Istituto Nazionale del Cinema di Algeri dove ha diretto il film diploma Croisement, per poi completare la sua formazione all’Idhec di Parigi. Ha lavorato come assistente in diversi set, e ha realizzato documentari e trasmissioni umoristiche per la televisione algerina. Nel 1976 ha diretto il primo lungometraggio: Omar Gatlato presentato alla Settimana della Critica di Cannes, nella sezione Forum Giovani di Berlino, al Festival di Locarno, e in tante altre manifestazioni internazionali, vincendo il premio come miglior film al Festival de la Francophonie di Cabourg e la Medaglia d’Argento al Festival di Mosca. Eguali consensi hanno ricevuto Les aventures d’un heros (1977), proiettato al Festival d’Amiens, e tra gli altri a quelli di Montpellier, Tokyo e di Cartagine (Prix Tanit d’Or), e nel 1994, Bab El-Oued City, selezionato a Cannes nella sezione Un Certain Regard (Premio FIPRESCI), e di seguito proiettato anche alla seconda Biennale del Cinema Arabo di Parigi (Grand Prix Institut du Monde Arabe), al Festival di Cartagine (Tanit d’Argent e Prix Utica), al Festival del Cinema Mediterraneo di Bastia (Olivier d’Argent e Premio per la miglior musica). Nel 1995 ha diretto Salut cousin! selezionato alla Quinzaine des Réalisateurs. E in quell’anno partecipa al film celebrativo Lumière et Compagnie, con il cortometraggio Interdit de camerer!. Nel 2004 è tornato ad ambientare una storia nel quartiere di Bab el-Oued con il film Bab el web.

Ho scritto questa storia dopo essermi documentato a lungo, sia attraverso testimonianze dirette, che per mezzo di articoli apparsi sui giornali, o grazie ad alcuni incontri con i giovani per discutere un problema totalmente nuovo vissuto dall’Algeria: il fenomeno dei clandestini, detti harragas o brûleurs, coloro che bruciano i documenti di identificazione per fuggire dal loro paese e dalla miseria. Come gli africani, i marocchini, i tunisini, oggi centinaia di giovani algerini attraversano il Mediterraneo, spesso mettendo a rischio la loro vita, per cercare di raggiungere l’Eldorado europeo. Quando ho cominciato a scrivere, ero lontano dall’immaginare la dimensione che questo problema stava rapidamente assumendo, tanto da diventare una preoccupazione a livello nazionale in grado di chiamare in causa le più alte autorità algerine. Nonostante le partenze sempre più numerose, i corpi senza vita ripescati ogni settimana, i virulenti articoli sui giornali, la creazione di associazioni di genitori di giovani scomparsi in mare, non è stata formulata alcuna reale soluzione sul piano umano e politico per limitare questo fenomeno, che pure colpisce un paese ricco grazie alle rendite derivanti dal petrolio. C’è ovviamente, ed esclusivamente, la repressione, e oggi un giovane clandestino rischia cinque anni di prigione se cerca di attraversare illegalmente il Mediterraneo. Questi nuovi “boat people” sono il simbolo del dramma che sta vivendo la gioventù algerina che si dibatte tra l’islam radicale che crea i kamikaze, la rivolta collettiva che incendia spesso città e villaggi, il suicidio individuale o la fuga di gruppo con ogni mezzo possibile da un paese che appare paralizzato e non offre più niente ai suoi figli.
Merzak Allouache